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venerdì 31 dicembre 2010

Living / Leaving

31 Dicembre 2015

Ce ne andiamo.
La situazione è peggiorata e non di poco. Dal 25 il tempo è andato via via migliorando (beh dipende poi dai punti di vista): la temperatura è salita e non nevica più. Sappiamo tutti cosa significa.
I Gialli hanno ripreso “vitalità” e il loro numero aumenta ogni ora che passa. Questo è ancora niente, però.

Il peggio è accaduto stamattina.
Ci eravamo svegliati da poco e gli altri due erano andati in soffitta per fare il solito controllo-Gialli da una visuale più alta; io nel frattempo guardavo per l’ennesima volta la mappa della zona cercando una soluzione alla questione “cosa fare dopo”, perché tutti e tre sapevamo di non poter rimanere in quella casa in eterno.
Dopo qualche minuto sento il rumore di passi veloci scendere giù per le scale. La faccia di Davide è tutta un programma.
“Vieni su. Abbiamo un problema.” Mi dice.
In un altro tempo e in un’altra vita gli avrei fatto notare quanto quella frase facesse molto telefilm di serie B, ma in quel momento non me lo faccio ripetere due volte e lo seguo in soffitta.

Ci metto un po’ però a capire quale sia il vero problema.
Ci sono i Gialli che lentamente si scongelano, un paio di carcasse di animale, forse di cane, ma non ho il tempo di indagare, niente di buono certo, ma nemmeno niente di nuovo.
Giro la testa verso gli altri con un sincero sguardo interrogativo stampato in faccia, poi mi rigiro verso la finestra. E’ in quel momento che lo vedo.

Sta avanzando verso casa nostra con passo lento, ma deciso. Beh a dire il vero cammina verso casa sua: Luca è tornato.
Non lo vedevamo da una ventina di giorni, da quando era uscito mormorando in modo incomprensibile stringendo un’ascia in pieno stile Shining.
Ora sembrava aver trovato un valido sostituto dato che stringeva una pistola nella mano destra.

Noi tre ci guardiamo per qualche secondo e sulle nostre facce campeggiano enormi punti interrogativi.
E adesso? Era tutto ok? Tutto tornato alla “normalità”?
La risposta ovviamente era no.
Scendiamo e andiamo a prendere le armi: io prendo la balestra, gli altri due le pistole. Non si sa mai.
Ci mettiamo alle finestre che danno sul vialetto d’entrata e lo prendiamo di mira.
Mi vergogno un po’ a dirlo, ma per un istante mi sono sentito un figo.

Luca non si ferma, non sembra nemmeno averci riconosciuto. Ora che ho la sua immagine ingrandita dal mirino mi accorgo che il suo giubbotto e macchiato di sangue, così come lo sono i suoi pantaloni e metà della sua faccia. Merda.
Dallo sguardo preoccupato degli altri due mi rendo conto che non sono l’unico ad essermene reso conto.
Ci chiediamo se sia già stato contagiato o se si sia ferito in altro modo, ma ci accorgiamo presto che non ha molta importanza: Luca punta la pistola verso la porta.

Un colpo interrompe la nostra sussurrata conversazione. Uno squarcio si apre nella porta.

Se anche è contagiato Luca è ampiamente in grado di usare quella cazzo di pistola. Ci abbassiamo di colpo perdendolo di vista, ringraziando che abbia deciso di prendersela con la porta e non con le finestre altrimenti addio testa.
Fuori il nostro ospite continua a sparare e a colpire qualcosa, ma sentiamo solo il rumore, non vediamo i fori dei proiettili. Normale dato che sta prendendo di mira i pannelli fotovoltaici sul tetto.

Bastardo! Luca non te l’ho mai detto prima, ma ho sempre pensato fossi un pezzo di merda. Stamattina ne ho avuto le prove.

Non ce ne accorgiamo subito, ma quando sentiamo il rumore del generatore di riserva che entra in funzione, beh fare 2+2 è piuttosto semplice.
La rabbia prende il sopravvento e ci alziamo in piedi puntando le armi verso di lui consci del fatto che potrebbe ammazzarci, ma troppo incazzati per agire diversamente.

Luca si ferma, abbassa la pistola e ci guarda. Sorride, lo stronzo.  
Non c’è niente di buono in quella mezzaluna di denti, ma neanche nel suo sguardo se è per quello.
Il suo braccio destro si alza e punta la canna della pistola verso il cielo facendo esplodere due colpi, poi mira verso di noi.
Urliamo di buttare a terra la pistola, di non fare cazzate e stronzate del genere, ma Luca non ci sente o meglio, non ci vuole sentire: Luca è impazzito.

Appoggio l’occhio al mirino e guardo meglio. Come temevo: un grosso morso sul collo. Non sembra mortale, ma è sicuramente bastato per contagiarlo.
Il nostro ex-amico e futuro Giallo fa esplodere altri due colpi, ma fortunatamente colpisce il muro.

Non so cosa sia passato nella mente degli altri due, so però che il sottoscritto se fino a pochi minuti prima si era sentito un figo del cinema, ora si stava cagando sotto.
Sapevo di dover fare qualcosa perché altrimenti la situazione sarebbe solo peggiorata, ma mi sentivo un po’ come quei personaggi dei film horror, quelli che insulti perché non si muovono o perché non sparano quando dovrebbero. Beh, ero paralizzato.

E’ in quel momento che lo vedo. Un Giallo dietro Luca si sta agitando più del normale, come se avesse visto una preda vicina, o sentito un rumore forte.
Ora capisco perché un campanello d’allarme mi stava suonando in testa, capisco ciò che l’adrenalina e la paura non mi permettevano di comprendere in pieno.

Il rumore sta attirando i Gialli. Dobbiamo fare qualcosa.

Sarò sincero con voi: non ho la più pallida idea di cosa successe esattamente dopo. O meglio. So cos’è successo, ma non so come.
Non ho il ricordo del mirino che si sposta, della faccia di Luca che finisce esattamente al centro della croce nera o del dito che si muove e preme sul grilletto.
Ricordo solo il colpo di frusta della testa del nostro ospite con il dardo che gli spunta da un occhio.

Non parlerò di cosa mi è passato per la mente, di come ho reagito o di quello che ho fatto “dopo”. Non oggi, almeno. Il tempo stringe e sinceramente non ho molta voglia di raccontarlo.

Abbiamo cominciato a fare gli zaini e controllato la situazione Gialli.
Si stanno muovendo e risvegliando dal torpore, ma fortunatamente il freddo e la neve dei giorni scorsi li hanno bloccati per bene. Potevamo aspettare ancora qualche ora.

Partiamo stanotte, quando la temperatura sarà più bassa.
Dove andremo non si sa, ma non possiamo più restare qui. Zaino in spalla, arma in pugno e speriamo che questa lunga sosta “casalinga” non ci abbia rammollito troppo.

Non so quando riusciremo a scrivere di nuovo, beh in realtà non so neanche SE riusciremo a scrivere di nuovo. Speriamo che tutto vada bene.

Buona sopravvivenza.

Cuppo

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